31/12/08

armadillo

Il blog dei laboratori del teatro dell'Armadillo

30/12/08

benvenuti


Benvenuti sul Blog dei laboratori del Teatro dell'Armadillo....una nuova avventura inizia....in bocca al lupo
(foto A.Bufi)

18/12/08

akesenning

akesenning - View my most interesting photos on Flickriver

04/12/08

la favola dei palloncini



C'era una volta, tanto tempo fa, molto lontano da qui, un paese in bianco e nero.
Con tante ombre al posto dei colori.
Un giorno arrivò un signore che portava, legati ad un polso, una miriade di palloncini di ogni colore.
Appena lo vide, si avvicinò un bambino e gli chiese perchè quelle strane sfere non fossero bianche e nere.
Allora il signore gli rispose che veniva da un paese dove ogni cosa aveva un colore.
Proprio come quei palloncini.
Il bimbo gli domandò un palloncino e il signore decise di regalarglieli tutti.
Si chinò su di lui e glieli tese.
Il bambino li afferrò, ma d'improvviso cominciò a sollevarsi da terra con tutti i palloncini.
Il signore lo afferrò e il bimbo, spaventato, decise di lasciarli andare.
E appena toccò terra alzò gli occhi verso il cielo.
Vide quell'enorme quantità di palloncini, con tutti quegli strani colori che non aveva mai visto, librarsi in quell'infinita macchia bianco-nera che rappresentava l'unico mondo che lui conosceva.
Il suo cuore si fermò.
Era uno spettacolo meraviglioso: quei palloncini continuavano a volare in alto come luci sospese.
Illuminavano il cielo come lampioni accesi, nel contrasto delle ombre che incombevano su quel paese.
Ma d'un tratto, ecco che i pallocini azzurri cominciarono a scoppiare, colorando il cielo di un azzurro intenso.
L'aria che ne uscì si tramutò in vento.
Il vento cominciò a trasportare i palloncini dovunque.
Quelli verdi si posarono sui prati e li colorarono.
Quelli gialli fecero scoppiare il sole da cui spuntarono infiniti raggi giallo-tenue che riscaldarono tutto il paese.
Quelli variopinti colorarono i fiori e così, via via, tutto il paese, pian piano, acquisto colore...
Il bambino, smarrito e incredulo, si voltò verso il signore per domandargli spiegazioni di tutto quello che era successo.
Ma il signore dei palloncini colorati non c'era più.
Era rimasto un unico palloncino rosso che andò a posarsi sul cuore del bambino. Il palloncino si sgonfiò e il suo cuore riprese a battere, rosso d'amore.
Era nato un nuovo mondo dei colori.

Butoh: la danza dell'anima




Dal dialogo intimo tra il movimento delle mani e quello dei piedi, tra
calma e violenza, tra Apollo e Dioniso, nasce la danza Butoh. Non è
una tecnica, ma una relazione profonda tra il corpo e la natura come
si evince anche dal significato etimologico del termine che è
costituito dai due ideogrammi: 'bu', ossia danzare o muoversi
elegantemente, con riferimento soprattutto alla parte superiore del
corpo, e 'toh', vale a dire calpestare. Il Butoh nasce in Giappone
dopo Hiroshima, dopo un'esperienza collettiva di distruzione e morte,
in una cultura codificata da secoli che sembra esplodere anch'essa,
insieme alla bomba. È un grido di ribellione contro quella cultura
troppo rigida e strutturata che l'ha generata, un grido che si
impregna di rivendicazioni e si confonde con i movimenti di protesta
giovanile, trovando un riconoscimento ufficiale solo nel 1985, con il
primo Festival Butoh di Tokyo.
Il suo pieno sviluppo risale agli anni Sessanta, quando gli Stati
Uniti cercano di cambiare l'assetto sociale giapponese importando la
democrazia, una nuova costituzione e nuove leggi, ma anche un modello
di vita basato sul consumismo e sulla materialità, in un contesto
urbano. La nuova danza d'avanguardia manifesta proprio questa profonda
crisi d'identità nazionale, ponendosi contro la rigidità imposta dal
teatro No, la 'modern dance' nordamericana e i tabù imposti dalla
cultura giapponese.
È un rifiuto della cultura borghese dominante e delle tecniche
esistenti che riducono il
corpo a strumento espressivo, ma è anche l'affermarsi di una nuova
filosofia del corpo che cerca la terra e il contatto con il suolo e,
per la prima volta riflette, attraverso la danza, un aspetto oscuro
dell'esistenza. I temi portati in scena hanno l'obiettivo di
provocare, di scuotere gli animi del pubblico e di fargli aprire gli
occhi di fronte alla vera essenza dell'essere umano: il desiderio
sessuale e l'erotismo, la violenza e la morte, sempre inseriti in
un'atmosfera surreale, quasi allucinatoria. Assistere a uno
spettacolo di Butoh significa esporsi a un'esperienza molto
particolare, è come squarciare il velo della realtà quotidiana,
ordinaria, per guardarci dentro. Il corpo diventa il 'tempio
dell'anima', in quanto spazio fisico grazie al quale l'uomo fa ancora
parte della vita e della natura, ribellandosi a qualsiasi forma di
globalizzazione e omogeneizzazione della cultura.
Corpi seminudi dipinti di bianco che compiono movimenti lenti
caratterizzati da gesti minimali, essenziali.
Tipici sono la retroversione degli occhi, la bocca spalancata, le
gambe piegate e i movimenti a terra. Lo studioso Alexander Lowen ha
scritto: "Un uomo può credere di possedere la sua mente ma non
possiede mai del tutto il suo corpo. Nel corpo ci sono processi che la
mente non riesce mai a comprendere o a controllare: il battito del
cuore, l'insorgere di una sensazione, il bisogno di amore. E siccome
la mente non riesce a controllare completamente il corpo, lo teme,
perché appartiene alle forze sconosciute della natura".
D i v e r s a m e n t e dalla danza tradizionale, che è un mezzo per
comunicare qualcosa di già stabilito, nel Butoh la danza si trova
all'interno del corpo. Nel movimento, i danzatori non cercano forme
precise ma una libera espressione del corpo. Il Butoh è tensione,
dilatazione del tempo e dell'azione, gesti lenti e pesanti,
scomposti e disarmonici, plastici e geometrici, un continuo divenire
di sensazioni che non possono avere codici di riferimento definiti. La
danza è ricerca di sé, svela l'inconscio attraverso la libera
circolazione dell'energia e l'esplorazione dello spazio circostante. I
padri fondatori furono Kazuo Ono e Tatsumi Hijikata, dal quale deriva
il nome Ankoku Buto (danza delle tenebre), in quanto solo inoltrandosi
nelle tenebrose profondità del corpo il danzatore può tirar fuori la
massima espressione delle energie
vitali. Hijikata è morto in Giappone nel 1986, mentre Ono - ora
ultranovantenne - ancora danza ed è considerato uno dei più grandi
artisti viventi. Hanno avuto molti allievi, giapponesi e non, che si
sono sparpagliati nel mondo. Raramente sono venuti in Italia, anche se
artisti come Ko Murobushi, Min Tanaka e Carlotta Ikeda sono ben
conosciuti in Europa dove la danza Butoh si è diffusa negli anni
Ottanta, grazie soprattutto alle sue affinità con la ricerca teatrale.
Non avendo mai assunto una forma definita, non esiste alcuna scuola di
Butoh ma esistono danzatori diversi per stile o per approccio allo
spazio scenico, che possono mostrare immagini degradate e grottesche,
oppure di grande bellezza e dolcezza. Sempre più numerosi i danzatori
che hanno avuto in questi anni esperienze di lavoro comune o di studio
con praticanti di Butoh, a dimostrazione che non sono più soltanto i
giapponesi a praticarla e che la sua influenza sulla danza moderna -
di cui è parte, a pieno titolo - ha prodotto e continua a produrre
effetti molto interessanti.
Da anni presente nei più importanti festival internazionali di danza
e, dopo aver stabilito solide basi in Paesi come Francia, Germania e
Stati Uniti, grazie alla sua vocazione al nomadismo, è arrivato anche
in Russia, Messico, Brasile, Corea, Svezia e Bulgaria. Dopo le fugaci
apparizioni del passato, sta prendendo sempre più spesso la strada
dell'Italia. Da segnalare che nel 2001, Kazuo Ono ha donato, al
Dipartimento di Musica e Spettacolo dell'Università di Bologna, una
copia del suo archivio, frutto di una personale selezione dai
moltissimi materiali raccolti sul lavoro di questo straordinario
artista dagli anni '40 a oggi. Si tratta della prima convenzione al
mondo, per la concessione di questo prezioso materiale.

27/11/08

Poesia

Poesia: una poesia d'amore,una poesia amata,una scritta per amore cercato,avuto o negato.
Una poesia, questo sarà il tema per il prossimo incontro.
Quello di ieri è stato magnifico ed intenso anche per emozioni ricevute.
Un pensiero per Marta: sei bellissima e dolcissima, ti vogliamo tanto bene.
Magari ti dedicheremo una poesia.

che mi metterò stasera?

Giacca,gonna,scarpe di quelle serie e poi magari un cappello,un bastone ed altro a piacere.
Dal prossimo incontro sarebbe bello averli sempre a portata di palco

24/11/08

Ubu Re



Ubu re (in francese, Ubu roi) è un'opera teatrale di Alfred Jarry, appartenente al ciclo di Ubu di cui costituisce la prima parte, pubblicata il 25 aprile 1896 in "Le livre d'Art" (rivista diretta da Paul Fort) e rappresentata per la prima volta il 10 dicembre 1896.
Quest'opera è considerata come precorritrice del movimento surrealista e del teatro dell'assurdo. Jarry vi mescola provocazione, assurdo, farsa, parodia e umorismo grasso e sbracato.
Trama
La pièce segue le avventure di Padre Ubu, «capitano dei dragoni, officiale di fiducia di re Venceslao, decorato con l'ordine dell'aquila rossa di Polonia, ex re d'Aragona, conte di Sandomir», e della Madre Ubu. Il Padre Ubu uccide il re Venceslao e s'impadronisce così del trono; poi uccide i nobili e tutti coloro che l'avevano appoggiato. Ma il Padre Ubu deve diffidare del figlio di Venceslao, il principe Bougrelao, che inavvertitamente ha risparmiato e che spera di riconquistare il trono di suo padre.

I luoghi
La Polonia citata da Jarry è un paese leggendario, mitico ma, allo stesso tempo, ha delle caratteristiche che ricordano la Polonia reale. I principali luoghi in cui è ambientato il dramma sono:
• La Spagna (Aragona, Castiglia)
• La Francia (Parigi, Mondragon)
• La Danimarca (Elsinore)
• La Germania ai tempi del Sacro Romano Impero
Ci sono più di 24 scene, tra le quali:
• Il palazzo reale
• Il campo di battaglia
• La cripta
• Due grotte
• La nave (al termine della pièce)
• La casa di Ubu
• La foresta
Personaggi
Nella galleria di personaggi della pièce, si riscontrano diverse particolarità: molti di loro non appaiono che per brevi istanti all'interno di una scena, senza più ricomparirvi.
Non tutti sono frutto di fantasia: alcuni, infatti, sono personaggi storici realmente esistiti, come il Re Venceslao o l'Imperatore Alexis, Stanislao Leczinski, Michel Fédérovitch e Jean Sobieski.
L'armata russa e l'armata polacca, composte da diverse persone, sono indicati nel dramma originali come un personaggio unico (tutta l'armata russa e tutta l'armata polacca). La macchina decervellatrice, poi, è accreditata come personaggio pur non essendo interpretata da nessun attore.
Prima rappresentazione
Prima del debutto dell'opera, avvenuto il 10 dicembre 1896 al Théâtre de l'Œuvre di Parigi, Jarry lesse un discorso introduttivo con voce fioca, in modo che fosse quasi impercettibile all'orecchio degli spettatori. Nel discorso annunciò che l'azione si svolgeva «in Polonia, cioè da nessuna parte». Il pubblico si scaldò, e reagì vivacemente fino dal «Merdre !» iniziale : la commedia destò uno scandalo.
Anche durante la replica il pubblico reagì, sebbene composto da amici di Jarry: tutto si svolse tranquillamente fino al terzo atto, nel quale un attore faceva la parte della porta della prigione tendendo le braccia; Padre Ubu girò un dito nella mano per aprire la "porta", e questa ruotò di novanta gradi cigolando...
Note sulla commedia
Numerosi riferimenti al Macbeth di Shakespeare sono presenti nella commedia, che inizia con un gioco di parole sul nome dell'autore inglese. Il padre Ubu usa molte espressioni inventate da Jarry, come il famoso neologismo «Merdre».
Jarry si è ispirato al suo professore di fisica al liceo, monsieur Hébert, che rappresentava per i suoi studenti l'incarnazione del grottesco; lo avevano soprannominato "il padre Hébert", e molte farse scritte dai liceali raccontavano le avventure di P.H., diminutivo abbastanza gentile se confrontato con le declinazioni che si facevano del suo nome: Ebé, Eb, Ebon, Ebance, Ebouille, etc. Gli studenti erano particolarmente affascinati dalla passione che l'insegnante aveva per l'andouille, un tipo di salame. Tutti i doppi sensi semantici diventavano possibili.
Tornando alle origini: Charles, il maggiore dei fratelli Morin, aveva scritto un giorno un episodio che narrava le disavventure di P.H. in Polonia, della quale diventava re. Da questo, più tardi, sarà tratto I polacchi: «I polacchi. Dramma in cinque atti dei Sigg. Charles e Henri M(orin), autori della Bastringa, de La Presa d’Ismaele e di molte altre opere sul P.H.».
Quando Jarry conobbe questo libricino scritto qualche tempo prima, lo trasformò in commedia e lo mise quindi in scena nel granaio dei Morin, nel dicembre 1888 e nel gennaio 1889, quindi nel 1890 nell'appartamento dove viveva con la madre e la sorella. La commedia è interpretata dalle marionette del Théâtre des Phynances; Jarry preparò in seguito la scena per un teatro d'ombre in cui Henri Morin interpretava il ruolo di P.H., sempre re dei polacchi. La satira s’intitolava sempre I polacchi, ed è la versione più vicina alla prima commedia del ciclo di Ubu.
Arrivato a Parigi nel 1891, Jarry affittò un locale che utilizzava come laboratorio, chiamato «Calvario del trucidato». Coi suoi nuovi compagni di studi ed amici, organizzò diverse rappresentazioni dalle quali rinacque il ciclo di Ubu, che subì molti ritocchi prima di arrivare alla sua forma definitiva. A questo punto il padre Hebert diventò padre Ubu.
Quando Jarry vinse il concorso di prosa del giornale L’Echo de Paris littéraire illustré fece conoscenza con Marcel Schwob al quale si legò d'amicizia e di stima. Grazie alla sua crescente popolarità, incontrò e fece amicizia con Alfred Valette, direttore del Mercure de France, e di sua moglie Rachilde. Nel 1894 Jarry mise in scena a casa loro, per gli amici, una versione di Ubu Re che fu molto apprezzata.
Verso la fine della vita, Jarry cominciò ad assomigliare sempre più al suo personaggio: si mise a parlare come lui, e firmava tutte le sue lettere col nome di Ubu.

19/11/08

Padre Ubu


Un grazie ai miei compagni, un applauso grandissimo.
una sorpresa ed una bellissima serata. W Re Ubu!!

19/10/08

esercizi di volo


Vorrei poter condividere con voi un'esperienza che davvero mi ha arricchito in ogni senso. Ho terminato oggi un laboratorio di due giorni con Giuliano Scabia dal titolo, appunto, "Esercizi di volo". Il professor Scabia è davvero una persona splendida. Se già non amassi profondamente il teatro, dopo un incontro con lui non potrei non innamoramene perdutamente.
Eravamo un gruppo di persone, e grazie a lui, siamo diventati uno stormo di aironi... ed abbiamo imparato a volare! In due giorni abbiamo messo in scena una performance che si rifà ad un suo testo inedito (e ci siamo sentiti davvero molto fortunati in questo senso - lavorare con l'autore della commedia che si mette in scena non capita tutti i giorni) dal titolo: "Commedia di aironi". E' il viaggio lungo ed estenuante di uno stormo di aironi che incontra un uomo, l'uragano, la guerra ed un pilota. Una storia dolcissima ed amara allo stesso tempo.
Il professor Scabia è autore di molti testi di teatro ed ha insegnato drammaturgia presso il Dams di Bologna per molti anni.

osservare

Quali persone , in che situazione e con che caratteristiche avremo osservato e cercato di interpretare? Appuntamento mercoledì prossimo

17/10/08

Teatro Inaudito - Teatro dell'Armadillo


Lavorare in scena presuppone
un duplice sguardo:
uno interiore
ed uno esteriore

16/10/08

imparare è disimparare

Uno studente in cerca di conoscenza si recò a trovare un saggio Maestro.
“ Maestro, ho fatto un lungo viaggio per venire qui da te, animato dal desiderio di bere al tuo oceano di conoscenza. Ti prego, illuminami”.
Il Maestro gli chiese di sedersi, prese la teiera che era sul tavolo e versò il té in una tazza già piena. Sorpreso dal comportamento del Maestro, il ricercatore si affrettò a dire: “ma la tazza era già piena”.
“Così sei anche tu”, rispose calmo il Maestro.
La maggior parte delle volte ascoltiamo gli altri pieni delle nostre idee e dei nostri concetti. In effetti, ciò che facciamo non è altro che ascoltare noi stessi. Questo è di ostacolo all’apprendimento. Per imparare bisogna prima svuotarsi dei vecchi concetti ed idee.